Capitani dell’anima

Certo. Anch’io sono una delle tante a non essere rimasta indifferente alla morte di Robin Williams; parlarne subito, nell’orda dell’informazione dei giorni successivi, mi era sembrato superfluo, ripetitivo. La mancanza affiora sempre dopo, nel bene e nel male. Lui non era una persona cara ma una specie di punto di riferimento all’interno del patinato ed incerto mondo dello spettacolo, una garanzia di autenticità, dolcezza e risata.

Ridere dovrebbe essere decretato uno dei patrimoni dell’umanità, saper far ridere ancora di più. E far ridere come sapeva farlo lui, beh chapeau. Probabilmente uno dei più grandi comici che Hollywood ci abbia mai regalato. Fino all’ultimo, anzi rivelando nel suo gesto estremo quello che sembra essere l’inevitabile legame comicità-male di vivere, ironia-tristezza. Che dire dunque che già non sia stato detto?

E’ facile tornando all’opera che più di tutte è legata al nome di Robin Williams, “L’attimo fuggente”: di nuovo, sono una fra quelli che han visto il film una decina di volte, sempre facendo finta di non conoscere già l’epilogo, sempre sperando in una sicura e totale vittoria della libertà sulla costrizione. E’ una storia troppo bella per finire male. E poi pensandoci così male non finisce, affatto: nell’ultimo atto si ritrova il senso trafugato, nella ribellione, nel rifiuto del sistema; quel passo fisico che simboleggia l’innalzamento, il superamento dell’asticella del dogma, di una prospettiva angusta e rigida.

Cosa c’è di umano in una vita vissuta senza ascoltare i propri sogni, cercando di rispettare gli altrui dettami? E’ come tentare di classificare la poesia solo facendosi guidare dai criteri della metrica e dello stile. Ho rivisto la meravigliosa scena in cui il professor Keating/Williams cerca di fare capire ai suoi studenti cos’è la poesia, partendo dal rifiuto della regola, che viene proprio strappata, non solo metaforicamente. E ho riso tanto. Appunto. L’ironia, quello sguardo privilegiato sul mondo.

Il film è troppo pieno di riferimenti per poterli richiamare tutti, ci sono troppe frasi che fanno sussultare, scene che commuovono ed interrogano. Vale allora la pena riportare un classico, la poesia che fa un po’ da filo conduttore dell’intera vicenda, O captain! My captain! Di Walt Whitman, dedicata all’assassinio di Abramo Lincoln, un uomo che la storia l’ha scritta, cambiandone il verso. E che siano versi sostanziali o simbolici, una volta immersi nel processo di creazione di sè, poco importa.

Un’allegoria profonda e valida per tutti del tentativo di guidare le nostre vite oltre la tempesta, del viaggio, anche quello supremo. Un piccolo tributo da questo blog ad un grande artista e poeta della risata. Buon viaggio.

72H

 O captain! My captain! O capitano! Mio capitano!

O Captain! My Captain! our fearful trip is done;
The ship has weather’d every rack, the prize we sought is won;
The port is near, the bells I hear, the people all exulting,
While follow eyes the steady keel, the vessel grim and daring

But O heart! heart! heart!
O the bleeding drops of red,
Where on the deck my Captain lies,
Fallen cold and dead.

O Captain! My Captain! rise up and hear the bells;
Rise up-for you the flag is flung-for you the bugle trills;
For you bouquets and ribbon’d wreaths-for you the shores a-crowding;
For you they call, the swaying mass, their eager faces turning

Here Captain! dear father!
This arm beneath your head;
It is some dream that on the deck,
You’ve fallen cold and dead.

My Captain does not answer, his lips are pale and still;
My father does not feel my arm, he has no pulse nor will;
The ship is anchor’d safe and sound, its voyage closed and done;
From fearful trip the victor ship comes in with object won

Exult, O shores, and ring, O bells!
But I with mournful tread,
Walk the deck my Captain lies,
Fallen cold and dead.

Oh! Capitano, mio Capitano, il tremendo viaggio è compiuto,
La nostra nave ha resistito ogni tempesta: abbiamo conseguito il premio desiderato.

Il porto è prossimo; odo le campane, il popolo tutto esulta.
Mentre gli occhi seguono la salda carena,
la nave austera e ardita.

Ma o cuore, cuore, cuore,
O stillanti gocce rosse
Dove sul ponte giace il mio Capitano.
Caduto freddo e morto.

O Capitano, mio Capitano, levati e ascolta le campane.
Levati, per te la bandiera sventola, squilla per te la tromba;
Per te mazzi e corone e nastri; per te le sponde si affollano;
Te acclamano le folle ondeggianti, volgendo i cupidi volti.

Qui Capitano, caro padre,
Questo mio braccio sotto la tua testa;
È un sogno che qui sopra il ponte
Tu giaccia freddo e morto.

Il mio Capitano tace: le sue labbra sono pallide e serrate;
Il mio padre non sente il mio braccio,
Non ha polso, né volontà;
La nave è ancorata sicura e ferma ed il ciclo del viaggio è compiuto.
Dal tremendo viaggio la nave vincitrice arriva col compito esaurito,

Esultino le sponde e suonino le campane!
Ma io con passo dolorante
Passeggio sul ponte, ove giace il mio Capitano caduto freddo e morto.

(Walt Withman – ” O captain! My captain!”)

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Walt Whitman – FOGLIE D’ERBA
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8 Comments

  1. Ciao Valentina, apprezzo un sacco questo tuo contributo al ricordo di quel film e di quel carpe diem che io assocerò sempre a quel bacio che uno dei ragazzi diede alla bella di un altro. Non andò benissimo poi, se ben ricordo, ma diamine, il non aver tentato sarebbe stato più amaro…:-) ma al di là di questi miei pruriti;-), il film è un inno alla poesia tutta, in primis quella della vita. Vivere Poeticamente…..roba da Dioniso, che dietro il bicchiere di vino cela una dolcezza infinita, è il dio straniero lui e anche nell’estasi, si è un po’ tristi, lontani da casa:-) Vivere Poeticamente è forse innamorarsi un po’ sempre e dovunque. La Setta dei Poeti non si è estinta….;-)

    • Caro Cris, ebbene ti confesso che ho cercato più volte informazioni su questa Setta dei Poeti estinti ma i riferimenti sono troppo labili per pensare che sia esistita davvero, al di là della trasposizione cinematografica. Ma come dici tu questa non si è mai davvero estinta, poichè esiste in coloro che succhiano la linfa della vita come i protagonisti del film, che amano anche senza speranza, che colgono l’attimo, che si riconoscono stranieri e ne gioiscono… dei moderni Dioniso. Grazie per questa condivisione di anima, e poi chissà che questa setta di valorosi prima o poi non riaffiori da qualche caverna..Un abbraccio!

  2. andrea

    A proposito di capitani:
    Invictus

    Out of the night that covers me,
    Black as the Pit from pole to pole,
    I thank whatever gods may be
    For my unconquerable soul.

    In the fell clutch of circumstance
    I have not winced nor cried aloud,
    Under the bludgeonings of chance
    My head is bloody, but unbowed.

    Beyond this place of wrath and tears
    Looms but the horror of the shade,
    And yet the menace of the years
    Finds, and shall find me, unafraid.

    It matters not how strait the gate,
    How charged with punishments the scroll,
    I am the master of my fate:
    I am the captain of my soul.

    — William Ernest Henley

    • Andrea, hai trovato in un attimo il riferimento più appropriato al mio post, potremmo dire una sorta di poesia gemella! Un altro componimento che fa tremare il cuore. E l’anima, quell’anima che viene tradotta come “indomabile”, quando anche un ‘”inconquistabile” sarebbe persino più appropriato. E poi il richiamo immediato al film su Nelson Mandela. Momenti di grande poesia!

      • andrea

        Hai ragione, c’è una sbalorditiva risonanza fra le due opere. Ho fatto una piccola indagine. Quella di Whitman è stata scritta scritta negli USA nel 1865 dopo l’assassinio di Abraham Lincoln, in un impeto di passione civile e politica. Quella di Henley, con chiaro riferimento autbiografico, nel 1875 a Londra in un letto di ospedale in cui l’autore giaceva a causa della tubercolosi che lo tormentò per tutta la vita e lo obbligò anche all’amputazione di una gamba. Direi che si può escludere che Henley avesse conosciuto i versi di Whitman e, ciò non ostante, due contesti che non potrebbero essere più differenti producono versi tanto assonanti! Quanto alla biografia di Mandela, è essa stessa poesia pura! Ed il film Invictus non poteva non commuovere un antico capitano sui fangosi campi da rugby. Forse anche il rugby è poesia!

        • Sì, una somiglianza veramente singolare, pur nella differenza di temi e contesti. La vita si manifesta, la poesia racconta, universalizza, avvicina. Grazie come sempre per il tuo contributo!

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