Sesso? Ben venga!

I martedì sera da queste parti sono indimenticabili: qui da noi c’è la champions league della poesia, il campionato del versificare diversificando tra le serate a rischio pioggia e grigiore.

Qui da noi il martedì sera c’è Incontroverso, il gruppo di poesia, il collettivo di poeti underground che si ritrovano a condividere questa passione. E’ per tutti noi un momento di sacrale ritrovo, di privilegiato silenzio interiore alternato ad un rumoreggiare gioviale. Lo si vede dalle facce che si distendono improvvisamente dopo giornate di dubbie soddisfazioni. Si vede dall’agio con cui ciascuno si accomoda sui divani e sedie e si appresta a bere vino e assaggiare cibarie fatte in casa, senza troppo risparmio. Ce lo siamo confidati apertamente: per tutti, e per me l’ultima aggregata, il martedì sera è il giorno off dell’agenda, quello che già dall’ inizio dell’anno consideri impegnato fino alla fine.

Questo martedì sera, un ospite ha allietato ulteriormente il valore del momento, impreziosendolo di versi e scambi unici. E’ venuta a trovarci Clara Vajthò, una poetessa marchigiana di nascita, madre romagnola e padre ungherese, che si divide tra Veneto e Piemonte e che siamo ben felici di avere qui a Torino seppur quei pochi giorni a settimana, dove capiterà di incontrarla a qualche poetry slam di cui è grande frequentatrice, spesso con ottimi esiti. Approdata relativamente tardi alla composizione poetica, Clara ispira un amichevole rispetto ed incarna con fascino discreto tutta la compiutezza della sua età e della sua, immagino, ricca esperienza di vita.

Trasmette quell’invidiabile equilibrio di una persona che sa trattare anche i temi più intimi con naturale schiettezza. Come tutti in fondo, a gran fatica, cerchiamo di fare. Vive anche lei, d’altro canto, un suo personale conflitto con la tempistica scrittoria, da cui ci spiega, riesce a liberarsi ogni volta senza sensi di colpa. Lasciando solo il netto, il chiaro, il verso che le arriva con sicurezza e senza pretese di rimaneggiamenti infiniti. Tutto il resto via, da buttare.

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Non solo; un altro aspetto che l’autrice mi pare abbia del tutto sdoganato è il rapporto con la propria immagine di donna-poetessa, con l’idea di essa che tanti vorrebbero confermata: in bell’equilibrio tra seriosità e leggerezza, Clara non utilizza lo strumento artistico per parlare di gladioli in fiore o turgidi membri scossi dal fremito d’amore ma letteralmente di cazzo e figa, tra gli altri.

Clara infatti, ha una inequivocabile e sorprendente capacità che è quella di parlare di sesso e farlo alla grandissima. Farlo nel senso di parlarne non praticarlo. Ecco mi sono incasinata, il sesso è così, ti fa inciampare all’istante. Non per lei che domina evidentemente il tema e in una maniera matura e naturalissima riesce a sviscerarlo evitando agilmente l’esagerazione o l’ovvietà. Sono numerose le poesie in cui ne attinge a piene mani e mai l’operazione scade nel volgare. Quello che almeno io intendo per volgare. Qualcuno non sarà d’accordo con la mia visione ma, si sa, parlare di sesso talvolta è più scottante che parlare del Vaticano, più scabroso che parlare della morte. Ammettiamolo, è così.

E ammettiamo anche che il fatto che sia una donna a compiere tale operazione rischia di alzare pure di un po’ l’asticella dello sdegno. Dunque questa sua abilità si tramuta presto anche in un merito. Che è quello di mettere in bella mostra l’universo sesso con tutti i suoi complicati meccanismi e derive, lì sulla pagina bianca. Di farlo con quello sguardo d’insieme di chi è donna ed anche madre, di colei dunque che di tutto l’apparato sessuale conosce anche le insidie anatomiche e che eppure nell’esprimersi non cade mai nella freddezza chirurgica.

Definire perciò la sua produzione come erotica suonerebbe limitante intanto perchè Clara scrive anche di tutto il resto e poi perchè in quel mondo c’è molto, molto di più, come lei stessa ci spiega e delle cui misteriosità anche lei pare non aver smesso di interrogarsi. Semplicemente il passo con cui approda sul terreno del sesso è assolutamente sicuro di sè, non cedevole; così esplicito da portarti il più delle volte a dire tra te e te “beh è tutto qui, perchè mai tanto scandalo per una cosa del genere?”. Cioè l’espressività è tanto naturale da rovesciare gli esiti immaginati. Tutti noi, volenti o nolenti siamo frutto del sesso; si parla in fondo della nostra fisicità, siamo fatti in quel modo, che stupidaggine negarlo e che sollievo ricordarcene. Semmai sarà quel silenzio, quell’ostentato pudore architettato intorno al tema a diventare volgare, insopportabilmente disonesto.

A noi che abbiamo rischiato un penoso scivolone sulle cinquanta sfumature di grigio e per un attimo di confondere il materiale ritratto lì con il materiale vero del nostro corpo, duro e puro, concavo o convesso, anche brutto a vedersi, che a volte ci fa pure un po’ schifo, quella pelle vissuta che ricopre i nostri apparati più reconditi, quali fatti di protuberanze, quali di scrigni misteriosi. A tutti noi eroi di una sempre più incomprensibile quotidianeità amorosa, e ancor peggio, sessuale, sono caldamente consigliati questo e gli altri libri di Clara Vajthò.

A noi e un po’ ai nostri organi in penombra che più di tutto il resto ci ricordano il desiderio, la carica erotica, la sensualità e la stessa creatività che ne discende. Per tutte le volte che abbiamo avuto voglia di scopare e non ci siamo permessi di dirlo, figuriamoci alla persona che frequentiamo, nè tantomeno ai nostri versi. E allora ci siamo chiusi, in un componimento che fosse educato, mi raccomando, che puntasse ai massimi sistemi dimenticando che l’ingranaggio da cui tutto parte sta molto più in basso. Ed è una pietra di assai più grezza ed insieme incomprensibile natura.

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Riporto qui uno dei libri di Clara di cui lei ci parla: è di pregevole fattura, arricchito, in accompagnamento alle poesie, di argutissime raffigurazioni da lei stessa create e si intitola Poesiole doppiosensuali. Fantastico. Indugiare su titolo e copertina ha il sapore peccaminoso di un bel preliminare artistico. Entrando poi nel merito, ormai in tutti i sensi, scelgo per par condicio due poesie che ci raccontano dell’organo sessuale femminile e maschile. Sono affascinanti, adorabili, ebbene sì, godibilissime.

Evviva. In tarda serata si finisce a parlare d’amore, è naturale, e di come per ciascuno di noi in una maniera diversa rispetto agli altri, ciò sia legato a doppio filo all’erotismo; si discute di pornografia, partendo dalla sua etimologia, si ride e si sorride sotto i baffi perchè intanto a ciascuno sono già venute in mente nuove strategie dell’arte amatoria. Siamo ancora più leggeri del solito dopo questa serata di Incontroverso, perchè Clara ci ha aiutati con naturalezza e senza pretenderlo ad aguzzare un tantino la vista su quei meandri oscuri e indicibili. La sua poesia e trascorrere una serata con lei si è rivelato liberatorio, proprio come il sesso. Di momenti così, al tepore casalingo, in compagnia di vino e amici, con protagonisti dei libri è assai raro, io credo, viverne. Dovrebbe essere un atto da ripetere allo sfinimento, proprio come un certo altro, di cui assai poco si parla, più spesso si sparla.

Beh, vi saluto, ormai i doppi sensi si sprecano, peccato buttarli via, meglio metterli in una poesia.

 

BENEFICA

Rimedio, panacea,

risorsa, toccasana,

una magica ampolla

che non contiene nulla

e proprio questo è il bello

che ciò che ti fa bene

non è il suo contenuto

ma ciò che lo contiene

RIMEMBRO

Tu sei l’unico al mondo

mi rendo conto adesso

che può cambiar di colpo

e rimaner se stesso

tu puoi uscire entrando

rientrare invece uscendo

e ritornare piccolo

anche se stai crescendo

solo tu puoi venire

anche se se già qui

e inoltre per finire

fai pure la pipì

(Clara Vajthò – Poesiole doppiosensuali)

 

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Clara Vajthò – POESIOLE DOPPIOSENSUALI

 

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2 Comments

  1. Silvia

    Sarò lieta di accaparrarmi e leggere le poesie di Clara i cui esempi nel post di Valentina solleticano piacevolmente la curiosità e l’orecchio. Però certo, dalla Valduga tornando indietro fino a Saffo, non mi pare che le poetesse, ciascuna con il suo linguaggio, si siano tenute lontane dall’argomento erotico. Dalla mia non verdissima età direi che la cosa più difficile oggi, che i muri sono tappezzati di tette e culi, che il bestseller degli ultimi tre (e dico tre) anni è appunto 50 sfumature, e che il sesso antropologico si svende in provetta, sarebbe guardare placidamente il tuo intorno e dichiarare che il sesso proprio non hai voglia di farlo. Non è che hai mal di testa, che sei cattolica, che sei vecchia, che …., proprio non ti va. E questo cari/e miei/e trovate una sola poetessa che l’abbia scritto. Nemmeno io peraltro (però ci sto pensando!).

    • Cara Silvia, interessantissimo il tuo punto di vista: dovrei conoscere un po’meglio tutte queste poetesse per farmi un’idea più chiara. Certo, sono convinta anch’io che parlino di sesso, e meno male, direi anzi che non potrebbe essere altrimenti. Non so però come ne parlino, con quale libertà di pensiero e parola, spingendosi fino a dove; insomma quanto siano abili, e appunto, non scontate e ripetitive, nel farlo. Rispetto al discorso di una consapevole e serena astensione dal sesso, beh mi sembra una scelta tanto sacrosanta quanto il suo opposto e anche tutto il ragionamento del mio post va in quella direzione. La libertà di fare una scelta, per quanto anacronistica o non condivisa e sfoggiarla con dignità e leggerezza è proprio l’aspetto grandioso. A questo punto mi hai riempita di curiosità e aspetto una bella poesia! Grazie per la tua condivisione.

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