Morire ad ogni istante

E il mio agosto è finito con un bel funerale. Degna conclusione del periodo che lo ha preceduto, difficile, affascinante, con nell’aria una dose di intrigante energia alchemica di creazione-distruzione. Di voglia e necessità di ricominciare, per riappropriarmi di me stessa. Il funerale, niente paura, era quello di una persona già passata a miglior vita anni addietro, più presente e viva che mai altrove, nella parola, nei fogli, nei ricordi, nelle memorie umane, civili, artistiche di tanti. “El funeral de Neruda”, e quando la mia amica mi ha proposto di andare a vederlo non ci ho pensato un istante.

Il nome Neruda in verità è per me sufficiente, che se fosse anche stato “il giardino di Neruda” avrei acconsentito comunque. Certo un funerale ha tutto un altro appeal e dunque eccomi qui oggi, così sovraccarica di spunti e vocaboli e frasi da mettere in fila, da non sapere bene come ordinare le idee.

Poichè disgrazie e fortune non vengono mai sole il giorno prima mi ero giustamente decisa anche a leggere l’autobiografia di Pablo Neruda, “Confieso que he vivido”, un pilastro della mia libreria, quel libro così importante per me che di tanto in tanto mi sorprendevo a lanciargli occhiatine furtive e languide, quello che non si può leggere in qualunque momento ma ci si deve preparare prima, anche ad averlo in un certo senso meritato. C’è allora materiale in abbondanza per un nuovo capitolo nella saga di questo mio amore per don Pablo.

Partiamo dallo spettacolo: un’opera teatrale scritta da Renzo Sicco, presidente e direttore artistico di Assemblea Teatro, centro di produzione teatrale di Torino, in collaborazione con Luis Sepúlveda. Ieri sera veniva proiettato come film, registrazione di una delle rappresentazioni messe in scena negli anni, in uno spazio della ex caserma La Marmora. Un luogo questo già di per sè evocativo, del tutto adeguato con la storia che si racconta ne el funeral, in quanto uno dei baluardi della resistenza anti-fascista a Torino.

landscape

Il lavoro di narrazione che viene fatto è ampio, coraggioso ed incredibilmente potente perchè attraverso le parole ed il racconto di una manciata di personaggi, il poeta insieme ai suoi cari che lo accompagnarono negli ultimi momenti di vita, si scende fin nelle radici del Cile, della cui storia, lotta e memoria Neruda fu un cittadino e paladino senza eguali.

Lo spettacolo non a caso esiste da sette anni, epoca in cui è stato replicato centinaia di volte, anche durante tre diverse tournée in Sud America dove Assemblea Teatro gode di stima e affetto e grazie alla cui tenacia, il direttore e la sua compagnia sono riusciti a metterlo in scena anche più di una volta presso la stessa casa di Neruda, la Chascona, a Santiago, quella in cui tra le tre, il poeta ha passato il maggior tempo della sua vita. Il testo è inoltre stato pubblicato in un volume edito da Claudiana.

Come solitamente cerco di (non) fare, non mi esprimo più di tanto sugli aspetti tecnici dell’opera: fosse per me io definirei grandiosi gli attori, che per inciso recitano tutti in spagnolo, la scenografia di scarna bellezza, il testo appassionato e umano, con il culmine raggiunto nella parte finale, scritta da Sepúlveda, di una sorta di elogio funebre collettivo dei personaggi unito ad uno spezzone di filmato originale del funerale. Fa trattenere il respiro per entrare poco alla volta sotto pelle.

L’atmosfera nel suo complesso è dunque magnetica: come ha detto la mia amica, ti trascina dentro lo spettacolo. E siamo solo in video; non immagino cosa potrebbe diventare il giorno che mai assisterò alla sua rappresentazione dal vivo.

Intanto mi preparo. E passo alla poesia e alla biografia, al terreno su cui provo a destreggiarmi meglio, ai suoi infiniti richiami, al misto di imbarazzo e travolgimento che sempre provo quando leggo Neruda. Dopo il film, ascolto in disparte il racconto che Renzo Sicco fa dell’origine del suo testo, dell’impegno e le problematiche per costruirlo e metterlo in scena, dell’incontro con Sepúlveda, degli avvenimenti di cui ha costellato i suoi viaggi in Cile alla ricerca di materiali sul poeta, la sua famiglia e l’entourage, il suo impegno politico, il mistero in cui in parte è ancora avvolta la morte.

Ebbene ascoltandolo, trovo l’appiglio a cui appoggiarmi, su cui puntellarmi per assemblare una qualche idea che non sia retorica, già ripetuta alla nausea, vuota nel suo contenuto. E come ci si deve aspettare da certi grandi autori, è quello che fa riferimento alla potenza della parola, della forza assoluta di questo strumento per combattere ma anche sopravvivere, per formare un solco indelebile durante l’esistenza e dopo.

Renzo racconta di come le testimonianze delle persone intorno a Neruda non lascino dubbio sul suo completo affidamento ed abbandono alla parola, al potere salvifico, alla garanzia di immortalità che questa, la sola per giunta, può dare. Lui il poeta dell’amore, la cui unicità è stata di non tenere mai distinto questo sentimento dagli altri e gli altri da questo, e contemporaneamente un uomo la cui missione di essere un buon marito, amante ed amico non si sarebbe disgiunta per tutta la vita da quella di rimanere un poeta e cittadino impegnato, militante, infiammato per i diritti del suo paese come di un’umanità intera.

rose

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[…]

tuttavia, credo che nessun artigiano possa avere, come il poeta ha, questa ubriacante sensazione del primo oggetto creato con le sue mani, con il disorientamento ancora palpitante dei suoi sogni. E’ un momento che non tornerà mai più. Ci saranno molte edizioni più belle e curate. Arriveranno le sue parole a travasarsi nel calice di altre lingue come un vino che canti e profumi in altri luoghi della terra. Però quel minuto in cui esce fresco di stampa e tenero nella carta il primo libro, quel minuto che ti rapisce ed ubriaca, per mezzo del suono delle ali che sbattono e del primo fiore che si apre all’altezza conquistata, quel minuto esiste una sola volta nella vita del poeta.

[…]

In ogni paragrafo di “Confieso que he vivido” mi sorprendo ancora una volta a ritrovare questo spirito, un incoraggiamento trasversale alla lotta ed alla scrittura, alla vita, alla sua semplicità in fondo. Un tratto per me ineguagliato di passione come di una dolcezza così spontanea da diventare talvolta infantile; l’arte coraggiosa di morire ad ogni istante, per rinascere più splendente.

“Io continuo a lavorare con i materiali che ho e che sono. Sono onnivoro di sentimenti, di esseri, di libri, di avvenimenti e di battaglie. Mi mangerei tutta la terra. Mi berrei tutto il mare.”

[…]

 

 

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Pablo Neruda – CONFIESO QUE HE VIVIDO
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