Filosofia spicciola a parole

Dice il buon Alejandro Jodorowsky, in una delle sue più amabili frasi, che la poesia è essenziale per l’essere umano perchè egli non può raggiungere la verità: il massimo a cui può arrivare è la bellezza.

Meno male, che qualcuno ci scampi da questo temibile rischio. Che ci ricordi quanto possa essere un canto delle sirene l’ambizione della verità. Per noi comuni mortali almeno; per tutti gli altri, collocati alle più alte sfere, a giocare nella stanza dei bottoni con la vita dei più, ovviamente il discorso è diverso. Loro sì possono permettersi di avere la verità in tasca e usarla a piacimento come arma sulla pelle altrui.

Quaggiù è tutto più complicato, tutto più delicato. Le nostre vite sono fragili, i nostri sentimenti appesi ad un filo il più delle volte: spesso è rischioso rivelarli quanto celarli. Sul capirli poi, ancora peggio. E ci resta la bellezza. Non che sia meno ardito che con la verità, anzi. Solo forse la puoi maneggiare di più, ti ci puoi sperimentare meglio. E non tanto perchè vale il solito adagio non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace ma perchè nel concetto di bellezza io ci vedo un mondo intero. E oltre. E alla fine di ogni viaggio alla sua scoperta mi resta la sensazione di non aver ancora trovato il bandolo, di non averla saputa leggere tutta e fino in fondo.

Ogni tanto nemmeno scrivere per la verità. Ed è qui che interviene la poesia, che a volte è anche un po’ crudele. Quanto è difficile scrivere? Essere su queste pagine ahimè lo dimostra: se scrivere fosse facile, che senso avrebbe il mio blog? Me ne starei altrove, mi divertirei e faticherei al contempo in maniera diversa, lambiccandomi su altri lidi.

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Invece no, perchè nulla ci scava dentro di più del luogo in cui stiamo, di quello specchio angolare su cui non possiamo fare a meno di gettare lo sguardo svariati momenti della nostra giornata per avere di rimando un’altra manciata di significati sull’esistenza. Però è soltanto uno specchio, perciò il più delle volte non fa che rimbalzarci quelle stesse domande. Un po’ rafforzate ed inasprite.

Quanto puoi resistere a quel gioco di interrogativi senza risposta, a quella sensazione di navigare senza bussola? Io certo non lo so, però mi avvalgo di uno strumento affilato: e di nuovo si ritorna alla poesia. E questa, contenitore dorato di bellezza come riesce a parlare di lei compiutamente e a manifestarla? Con tutto il materiale mediatico quotidiano di cui siamo circondati a volte sembra il teatro dell’assurdo.

Ma lo sforzo poetico vale sempre la pena, è esso stesso bellezza e ispirazione. Io spesso mi sento così, cammino nel mio mondo di incertezze e difficoltà, sapendo che qualcosa arriverà a tiro per farsi cogliere e raccontare, per manifestare il suo splendore e il suo messaggio. E quando mi concedo questa disposizione di animo, puntualmente infatti qualcosa succede. Come una sorta di neo-platonica o post-platonica filosofa urbana: sento che in quel pezzo di marmo di una certa visione che arriva qualcosa esiste già, va solo eliminato il superfluo, la materia che opprime e dà pesantezza.

Sì oggi avrete capito, va così, tante riflessioni ardite da condividere e prima che questo post diventi troppo filosofico e infarcito di domande è meglio che mi faccia aiutare da una poesia, scelta nel mazzo; e detta così pare quasi uno scherzo considerato il titolo della raccolta in cui è pubblicata e soprattutto il suo significato.

L’autrice è praticamente una collega, nel senso che ha pubblicato con la mia stessa casa editrice, la Neos di Rivoli, nel marzo del 2012 questa bella raccolta di poesie dal titolo La parola che ci scelse. Raffaella Grisotto è una virtuosa nel maneggiare quella parola: con una tesi di laurea sulla poesia dell’età barocca, una lunga collaborazione come lessicografa al Grande Dizionario della Lingua Italiana della Utet e come ricercatrice al Grande Dizionario Italiano dell’Uso diretto da Tullio de Mauro e poi ancora esperienze di redattrice ed insegnante di materie letterarie all’attivo, ecco lei è una, diresti, che la parola non la frega. Una che saprà sempre cosa dire e soprattutto come dirlo. Le sue poesie avranno certo la qualità di schiudere il contenitore senza sbavature, esprimendo quella bellezza con semplicità; sapranno avvalersi dei giusti espedienti per arrivare al messaggio finale quando l’espressione di un’immagine rischia di morire in gola.

La raccolta è infatti di notevole pregio: rappresenta, a mio avviso, una maturità artistica invidiabile, una meta a cui ambire per chi come me, con quell’esercizio dei vocaboli ha ingaggiato una aspra e gioiosa lotta. E vi dirò mi pare che per lei sia decisamente lo stesso: quella parola che la scelse, che lei non scelse, che non si fa possedere ma solo scrivere, che è ciò che resta alla fine di tutto.

Non è l’artificio poetico, nè la leziosità il fulcro dell’opera ma quella forza che a volte mi arriva come un pugno alla bocca dello stomaco, e che adoro perchè mi fa sentire viva e rappresentata più di tanti versi in bell’ordine e rima. Che mi riporta in bocca parole perdute, che mi ricorda dove stavo fino a poco prima di inciampare in quello specchio sordo.

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La lettura mi rivela e conferma tutto lo sforzo artistico dell’autrice e il suo tramutarsi in libro non è che la prova. Le poesie sono molto profonde, pur restituendo in determinati momenti una certa asprezza; in questa operazione poetica di marmo superfluo non ne è rimasto nulla. La bellezza è ruvida e scintillante, arriva agli occhi e soprattutto diritta al cuore.

Riporto oggi questo componimento, che racchiude a mio modo di vedere e sentire il significato più distillato della raccolta, di cui contiene parte del titolo nel verso finale. E’ un meraviglioso gioco quello della parola, che ci ha scelti prima per dimenticarci poi; è lei che ci seduce indicandoci la meta senza dire come arrivarci. Noi possiamo solo sommare capriccio e destino sulla strada e camminare aspirando a quella bellezza. E al fondo?

Sai cos’è?
E’ che al fondo
sono vuota
e di tutto, di tutto, mio dio,
non ho che le parole.

 

 

Io che sento, che sono,

che il mio inizio è solo ieri.

Fummo così solitari da divenire più d’uno,

da sommare capriccio e destino.

Trovammo una parola scritta da altri,

uscita dal fumo della terra, nè tua nè mia,

ma la ascoltammo.

E lentamente diventiamo

il vento che non seguimmo, il bosco dove non ci

[perdemmo,

la parola che ci scelse e si dimenticò di noi.

(Raffaella Grisotto – La parola che ci scelse)

 

 

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